La post-produzione delle foto del Matrimonio - Parte 2
Verso una post-produzione artistica intelligente: la simulazione scientifica delle pellicole.
Per quanto il digitale abbia portato indubbi benefici al mondo della fotografia, in termini di possibilità operative, realismo, fedeltà cromatica, etc., spesso una post produzione esattamente corrispondente al reale, per quanto sia impegnativa da eseguire (perché la gestione del colore è una scienza – esatta – che non tutti i fotografi conoscono e padroneggiano), non è propriamente il risultato che vogliamo, o che voi clienti volete. Potrebbe essere un risultato che, ferma restando la bontà del contenuto, il momento catturato, le indiscutibili emozioni raccontate, abbia delle connotazioni estetiche troppo neutre, asettiche, di una fruibilità artistica troppo limitata.
Il fotografo che volesse aggiungere spessore alla propria post produzione è quindi davvero imprigionato in questa scelta tra l’iper-realismo e la moda “Instagram-style” della post-produzione esagerata? Come si evita il baratro della lavandaia e dei marshmallows, conferendo comunque un’estetica romantica o poetica alle proprie fotografie? Ci può essere coerenza con l’arte fotografica quale è sempre stata, nella post-produzione digitale?
La risposta è, probabilmente, nella simulazione, scientifica, della resa cromatica e tonale di pellicole che hanno fatto la storia della fotografia. Scientifica perché basata su profilazioni accurate (empiriche, realmente eseguite) del comportamento dei vari tipi di film e attraverso differenti sviluppi di questi. Si può post-produrre simulando la risposta ai colori che avrebbero avuto le varie decine di pellicole prodotte da Kodak, Fujifilm, Agfa, Polaroid. In modo professionale. Con misura e cognizione di causa, è ovvio: se stiamo raccontando un evento di poche ore, che si svolge nel medesimo luogo, con le medesime condizioni di luce, difficilmente potremo “far finta di” aver utilizzato un milione di pellicole differenti nell’ambito del nostro reportage! Se si ha la conoscenza delle proprietà delle pellicole utilizzate e degli scopi per cui sono indicate, le si utilizzerà di conseguenza, in post-produzione, nelle situazioni in cui lo si avrebbe fatto nella realtà. Insomma, difficilmente si userà una Velvia 50 o una Ektachrome 64 in un reportage in interni in (poca) luce naturale. Magari useremo Fuji Neopan 1600, Kodak UltraMax e Portra, e così via, lasciando alle diapositive il compito di raccontare i colori di un giorno di sole.
Trovo che post-produrre il racconto di un matrimonio attraverso la simulazione di pellicole storiche (ma anche attuali), se fatto in modo intelligente, mantenendo una coerenza “funzionale” nell’applicazione del tipo di lavorazione, sia un notevole valore aggiunto in termini artistici, ma che allo stesso tempo sia qualcosa che non mini la longevità del prodotto finito, in quanto la pellicola ha fatto la storia della fotografia! Azzardando un paragone musicale, è come comporre pezzi moderni che siano destinati a un’orchestra: la musica verrà suonata sempre dagli stessi strumenti, ma la sostanza sarà fatta di creatività attuale. L’importante è avere gusto, operare in modo congruo, non scegliere insensatamente, utilizzare una buona grammatica.
E’ quindi con immenso piacere che ho scelto, a partire da quest’anno, di proporre agli sposi la possibilità di avere il servizio del matrimonio lavorato in post-produzione sulla base di pellicole storiche e contemporanee, per reportage ancora più belli e più ricchi di significato artistico. Lunga vita alla fotografia!
Per maggiori informazioni su questo tipo di servizio, vi rimando al post -> Sviluppo e post-produzione in stile pellicola.
Qui di seguito alcuni altri esempi: